giovedì, Maggio 1, 2025

Mindhunter, serie tv che esplora le radici della psicologia criminale

La speranza di una terza stagione è sempre più remota, ma vale la pena recuperare le prime due stagioni di "Mindhunter", la serie tv che narra le origini dell'unità di "scienze comportamentali" dell'FBI

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Negli intricati meandri della psiche criminale, c’è una serie che si distingue per l’accuratezza con cui affronta il soggetto criminale: “Mindhunter”. Basata sull’omonimo libro di John E. Douglas e Mark Olshaker, questa serie prodotta da Netflix, da David Fincher e Charlize Theron, ha affascinato e sconvolto gli spettatori fin dalla sua prima stagione nel 2017.

Mindhunter, ambientazione: la serie di telefilm in cui un gruppo dell’FBI studia i profili psicologici

Basata sulle reali attività del Behavioral, la serie tv è ambientata alla fine degli anni ’70, “Mindhunter” segue le vicende di due agenti dell’FBI, Holden Ford (interpretato da Jonathan Groff) e Bill Tench (interpretato da Holt McCallany), assieme alla psicologa Wendy Carr (interpretata da Anna Torv). I protagonisti operano nel Behavioral Science Unit dell’FBI, dove intervistano e studiano serial killer in galera per comprendere la loro mente e le motivazioni alla base dei loro omicidi. Lo scopo è sviluppare profili criminali che possano aiutare a risolvere crimini in corso e futuri. Per questo i protagonisti si spostano continuamente tra l’Accademia e i vari stati degli USA in cui sono stati commessi i più efferati delitti nei dintorni di Quantico e Virginia.

Mindhunter
I due protagonisti di Mindhunter

La storie vere di “Mindhunter”: decodificare la mente criminale

Nella scienza della psicologia criminale, la serie tv e il libro “Mindhunter” rappresentano un punto di riferimento non solo un prodotto di intrattenimento, ma anche come studio accurato dei disturbi e delle anomalie che possono condurre un soggetto a delinquere. Con un’attenzione particolare ai serial killer, la serie illumina la complessa matrice di fattori psicologici che formano la mente criminale.

Prima del lavoro pionieristico di John E. Douglas e dei suoi colleghi, la comprensione dei serial killer era frammentaria e poco sviluppata. “Mindhunter” illustra questo percorso di scoperta, snocciolando storie vere, e svelando i complessi profili che sono emersi. Non si tratta solo di criminali spietati, ma di individui afflitti da una serie di disturbi come la psicopatia, il narcisismo patologico, e spesso un passato di abuso e trauma.

Disturbi alla base della delinquenza

La serie non si concentra solo sui criminali più noti, ma offre anche un’analisi profonda dei disturbi di personalità che possono portare alla criminalità. L’antisocialità, il disturbo borderline di personalità, e i traumi infantili sono esplorati con attenzione e sensibilità, fornendo una visione olistica delle radici del comportamento criminale. La serie tv offre anche un quadro completo sui dilemmi etici e le sfide personali che i profiler devono affrontare. La vicinanza emotiva ai criminali può portare a una comprensione più profonda, ma a che prezzo? La serie affronta questi interrogativi, esaminando l’equilibrio tra empatia e distacco professionale.

“Mindhunter” non è solo un drama poliziesco, ma una lezione di psicologia. Traccia la nascita dell’unità di scienze comportamentali dell’FBI in cui lo spettatore assiste al delinearsi del profilo del serial killer, riflettendo non solo su ciò che fa un criminale, ma su ciò che lo crea. La narrazione inedita e puntuale sull’attività dei primi agenti che hanno esplorato la materia psicologica dei criminali più spaventosi del secolo scorso, ha sedotto gli spettatori con un tipo di lavoro emergente come quello del “profiler”.

Ed Kemper, uno dei personaggi presente entrambe le stagioni di Midhunter

La critica e il pubblico

È stata lodata per la sua scrittura, regia, e le interpretazioni, specialmente per l’approccio realistico e meticoloso allo studio della psicologia criminale. Le prime due stagioni sono state rilasciate rispettivamente nel 2017 e nel 2019. Entrambe le stagioni hanno esplorato i profili criminali a partire da Ed Kemper (l’omicida che più di tutti ha aiutato gli agenti a tracciare i profili psicologici dei serial killer) a Charles Manson che emerge come manipolatore e guru nei suoi progetti di carneficina. Il tutto passando per lo strangolatore di Boston e gli omicidi dei 22 bambini di cui due sono stati attribuiti a Wayne Williams.

Nonostante i tanti punti di forza, la terza stagione di Mindhunter sembra ormai un miraggio. E a perderci, secondo noi, è proprio Netflix. In un’epoca in cui il true crime e i thriller psicologici dominano le classifiche, con una promozione mirata questo capolavoro avrebbe potuto conquistare il mondo. Se amate la psicologia – soprattutto quella criminale – Mindhunter è una serie da non lasciarsi sfuggire.

Mindhunter 2, significato del finale

Nel finale di stagione di Mindhunter 2, la tensione raggiunge il culmine in un crescendo cupo e inesorabile. Le luci di Atlanta tremano come i nervi di Holden Ford, consumato dall’ossessione di dare un volto definitivo al mostro che ha terrorizzato la città. Ma dietro l’arresto di Wayne Williams si nasconde una verità scomoda e frammentata: accusato formalmente solo per l’omicidio di due giovani adulti, viene implicitamente ritenuto responsabile anche dei ventotto omicidi irrisolti che hanno scosso la comunità afroamericana tra il 1979 e il 1981.

Nessuna confessione, nessun processo per i bambini scomparsi, solo una narrativa costruita per placare l’ansia collettiva. Le famiglie delle vittime, lasciate senza risposte, restano intrappolate in un limbo di dolore e sospetto. La politica, sotto pressione, preferisce chiudere il caso con un volto e un nome, sacrificando la complessità sull’altare della convenienza mediatica. E Holden, che aveva creduto nella scienza comportamentale come chiave per fare giustizia, si ritrova a fare i conti con un sistema che premia le apparenze più della verità.

Accanto a lui, Bill Tench si frantuma lentamente. Il male che studia ogni giorno si è insinuato nella sua stessa casa: suo figlio ha assistito a un omicidio, forse ne è stato complice. E la colpa, che si pensava potesse restare confinata nei profili dei serial killer, comincia a devastare il suo matrimonio, trasformandolo in un uomo in bilico tra il dovere e la paura. Mentre tutto si sgretola, Wendy Carr abbandona per la prima volta la sua torre d’avorio accademica: scende in campo, intervista, guarda negli occhi i carnefici, si confronta col sangue e con le parole. La scienza, capisce, ha bisogno di sporcarsi le mani.

Ma la chiusura vera, quella più agghiacciante, arriva in silenzio. Un uomo, dai movimenti metodici e glaciali, appare ancora una volta nei brevi intermezzi disseminati durante la stagione. È l’ombra che si aggira nei corridoi bui del Kansas. Indossa maschere, fotografa sé stesso legando le sue vittime. È il volto ancora anonimo dello strangolatore di donne. E mentre il sipario cala su Atlanta, una nuova minaccia prende forma, preparandoci a un terzo atto che promette di sprofondare ancora più a fondo nell’abisso.

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